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16/01/2011 - COME SI PERDONO I DIRITTI ACQUISITI




I DIRITTI HANNO COSTI CHE VENGONO PAGATI DA TUTTI I CITTADINI

In una società ogni diritto ha un costo per tutti i cittadini, per esempio il diritto alla salute che ha portato alla istituzione della mutua, prevede che lo stato paghi ai cittadini le visite, le cure e gli interventi considerati necessari alla loro salute, il diritto alla difesa processuale, prevede che anche chi non potrebbe permettersi un avvocato possa venire difeso da un avvocato nominato d'ufficio e pagato dallo stato e così via.., quindi tutte le spese che i diritti comportano vengono comunque suddivise e pagate da tutti i cittadini contribuenti sottoforma di imposte e tasse. Poi ci sono altri diritti, come quelli legati al mondo del lavoro, i diritti acquisiti nel corso di anni di dura lotta sindacale tra gli anni 60 ed 80, che regolamentano la cassa integrazione, l'orario di lavoro, le pause, i turni, la mensa aziendale ecc., i quali hanno fatto salire notevolmente il costo dell'apparato statale per i contribuenti ed il costo del lavoro per le aziende, riducendone contemporaneamente la produttività, a favore di un migliore qualità della vita dei lavoratori. Naturalmente le aziende, a fronte di maggiori costi di produzione, per non rimetterci, aumentano i prezzi di vendita dei loro prodotti.

IN ITALIA I DIRITTI DEI LAVORATORI SONO MAGGIORI CHE NEGLI ALTRI PAESI

Tutte queste acquisizioni di diritti secondari, perché si tratta di diritti che, seppur importanti, non sono realmente fondamentali alla vita dell'individuo, tant'è vero che non sono uguali in tutte le democrazie occidentali, sono avvenute nel corso di un periodo di espansione economica e sviluppo del nostro paese, durante il quale le aziende avevano notevoli margini di guadagno e per tale ragione, bastava che i sindacati puntassero i piedi affinché venisse concessa ai lavoratori qualunque richiesta. Un periodo nel quale ogni contrattazione tra aziende e sindacati sfociava quasi sempre in un una resa incondizionata da parte delle aziende, a cui comunque costava di più una eventuale riduzione dell'utile dovuta agli scioperi che quella derivante dalla soddisfazione delle richieste dei lavoratori. Questo accadeva perché fino agli anni ottanta le frontiere dei vari stati erano molto più ermetiche di adesso, ogni stato avendo la assoluta libertà di imporre tasse doganali su qualsiasi tipo di merce di importazione, poteva favorire la vendita dei prodotti delle aziende nazionali e di conseguenza la conservazione dei posti di lavoro, sul proprio territorio. In tale situazione la maggior parte delle aziende se non potevano produrre in Italia, difficilmente avrebbero potuto farlo in altri stati.

NESSUN DIRITTO ACQUISITO E' INALIENABILE

La menzionata situazione ed il fatto che quasi tutte le cause legali tra dipendenti e datori di lavoro si siano risolte a favore dei lavoratori nel 99,9% dei casi, ha indotto i sindacalisti ed i lavoratori dipendenti italiani a pensare che tutti i diritti siano fondamentali ed irrinunciabili e, un po' come succede coi bambini viziati di famiglie benestanti i cui genitori concedono sempre tutto incondizionatamente, anche loro sembrano non rendersi conto che i tempi cambiano e di conseguenza anche i diritti (che sono strettamente legati alle condizioni economiche della nazione) quando la situazione è favorevole si possono acquisire e quando invece è sfavorevole si possono perdere.

PERCHE' I DIRITTI ACQUISITI NON POSSONO RESTARE INVARIATI

L'Italia è ormai parte dell'Europa Unita:
1)
Gli accordi che vincolano tutte le nazioni della U.E., impediscono o limitano moltissimo la possibilità di ogni stato di fare leggi economiche per privilegiare le proprie aziende rispetto a quelle degli altri stati membri o a sfavore delle economie di questi ultimi.

2) A causa dell'abolizione delle frontiere in ambito U.E. non è più possibile impedire l'ingresso o imporre tasse doganali sui prodotti a norma provenienti dagli altri stati membri.

3) Per i motivi indicati nei punti 1 e 2 le aziende italiane non possono più vendere i prodotti, nemmeno nel mercato nazionale, senza dover abbassare drasticamente i prezzi e di conseguanza tutti i costi di produzione, costi di lavoro (manodopera) compresi.

4) E' stato permesso a stati poveri aventi sviluppo economico e tenore di vita inferiori al nostro, come la Polonia, la Romania, ecc.., di entrare a fare parte della U.E., con la conseguente nascita di zone di produzione industriale alternative all'Italia, appetibili e convenienti a causa dei bassissimi costi di produzione legati alla manodopera locale.

5) Le aziende italiane possono facilmente iniziare o trasferire la loro attività produttiva negli altri stati membri, senza che lo stato italiano possa impedirlo per la ragione indicata al punto 1.

La globalizzazione non influenza solo i rapporti commerciali, ma anche il mercato del lavoro:
1)
Dagli ultimi paesi annessi alla U.E. arrivano immigrati che sono cittadini abituati a condizioni di vita meno favorevoli delle nostre, che sono disposti ad accettare, pur nell'ambito di contratti regolari di assunzione, paghe più basse e/o turni di lavoro più gravosi, di quelli che vorrebbero i lavoratori italiani.

2) Da tutto il mondo arrivano immigrati irregolari, che favoriscono la nascita di mercati illegali paralleli, i cui effetti contribuiscono a danneggiare l'economia legale e di conseguenza ridurre i posti di lavoro regolari. Oppure che vengono regolarizzati con sanatorie che li mettono in condizione di drenare altri posti di lavoro.

3) Grazie allo sviluppo di Internet, ogni cittadino italiano ha la possibilità di scegliere di acquistare ed importare direttamente dall'estero prodotti a basso costo, contribuendo indirettamente ad affossare l'economia nazionale e di conseguenza alla riduzione dei posti di lavoro.

Mancano le condizioni necessarie per conservare tutti i diritti acquisiti:
1)
Il potere dei sindacati sulle aziende è diminuito perché le aziende, di fronte a comportamenti sindacali intransigenti o richieste contrattuali troppo onerose, diversamente a quanto accadeva prima della nascita della U.E. possono facilmente trasferire all'estero la produzione.

2) Lo Stato italiano, come qualsiasi altro stato, non può creare ricchezza direttamente, perché l'apparato statale in fase di bilancio rappresenta un costo per i cittadini, può solo contribuire a creare le condizioni per favorire la produzione e migliorare l'economia sul territorio nazionale, ma non potrà certo farlo costringendo le aziende a ridurre i propri margini, oltre che per l'elevato carico fiscale, anche per obbligarle ad assecondare le eventuali richieste dei sindacati italiani. Quindi lo Stato, ora più che mai, dovrà astenersi dall'intervenire direttamente nelle controversie tra aziende e sindacati limitandosi eventualmente a funzioni di mediazione.

3) I contratti collettivi nazionali, che sono stati ideati più sulla base ideologica del sindacato dominante, che sui reali interessi dei lavoratori, interessi che necessariamente variano in funzione delle diverse realtà socio-economiche locali, sono destinati a diventare incompatibili con le attuali condizioni del mercato del lavoro e dovranno venire rimpiazzati da più versatili contratti stipulati su base regionale. Per questa ragione anche i sindacati nazionali perderanno consenso a favore di nuove associazioni più snelle che siano in grado di operare, seppur con un minore potere contrattuale, in modo più diretto e adatto alle necessità locali dei lavoratori e delle aziende.

4) Per quanto esposto al punto 3, finché la trasformazione del sindacato non sarà terminata e stabilizzata, per i lavoratori sarà sempre più difficile riuscire a conservare inalterati tutti i diritti acquisiti e saranno costretti a rinunciare a qualcosa, forse a molto, per poter mantenere o ritrovare il cosiddetto posto di lavoro.

Efficacia di scioperi e proteste
1)
Nella attuale situazione, molti sindacalisti e lavoratori saranno portati a pensare che scioperi, manifestazioni e disordini di piazza, possano costringere il governo di turno a garantire inalterati i loro diritti acquisiti, ma lo Stato non può più creare posti di lavoro improduttivi come ha fatto in passato, per compensare alle mancanze di quelli produttivi e gli ammortizzatori sociali funzionano solo se lo stato può fare affidamento su un adeguato gettito fiscale, che sia sostenuto da un'economia sana alimentata da un'alta percentuale di aziende produttive.

2) Le aziende non potranno mai essere obbligate da nessun tribunale a mantenere le assunzioni in stabilimenti che intendono chiudere soprattutto, quando i capitali di maggioranza siano controllati da società estere ed i bilanci siano in perdita.

3) Gli scioperi possono essere utili solo quando l'azienda è in attivo e senza possibilità di dislocare la produzione.

4) Quando l'azienda ha gia deciso di trasferire la produzione all'estero scioperare non serve a nulla.

5) Quando l'azienda si trova in difficoltà economiche ed ha bisogno di ridurre il personale, scioperare per difendere i posti di lavoro a rischio, avvicina il fallimento e di conseguenza la probabilità che anche i posti che non erano a rischio vengano persi.

6) Nella situazione attuale i disordini sociali hanno solo il duplice effetto di danneggiare direttamente ed indirettamente l'economia delle aziende che sono ancora presenti sul territorio italiano e di scoraggiare ulteriormente eventuali investitori stranieri..

QUANDO FINIRA' LA CRISI ITALIANA

Il mondo fino agli anni 80-90 si è sviluppato in 3 compartimenti semi ermetici:
1)
Le nazioni capitaliste, efficienti e ben organizzate, sostenute da economie industriali produttive alimentate da liberi mercati, prevalentemente su basi nazionali, che a fasi alterne premettevano la produzione e l'accumulo di ricchezza per poi distribuirla, hanno saputo migliorare velocemente il tenore di vita dei loro cittadini e di conseguenza, grazie a gettiti fiscali sempre in crescita, il numero dei diritti.

2) Le nazioni socialiste, benché efficienti ed organizzate dal punto di vista politico e militare, avevano apparati statali che mantenevano il controllo assoluto sulla produzione industriale e sulla economia, che hanno imprigionato il loro sviluppo economico e limitato il tenore di vita dei cittadini. In pratica hanno garantito alla popolazione diritti fondamentali uguali per tutti, ma non essendo riusciti a crescere economicamente, anche il benessere e i diritti non sono aumentati nel tempo.

3) Le nazioni cosiddette "del terzo mondo" che per colpa di governi illiberali ed incapaci, assolutisti e dittatoriali, il cui scopo non era quello di provvedere al benessere della popolazione, bensì di mantenerla nell'ignoranza per poterla sfruttare meglio, hanno deliberatamente ostacolato i progressi economici e sociali, lasciando la popolazione (comunque in crescita) in un stato di indigenza che ancora continua attualmente.

Nell'arco di un solo ventennio, le barriere che mantenevano nettamente divisi i tre compartimenti sono state quasi completamente eliminate, analogamente a quanto avverrebbe con l'acqua contenuta in quantità differente in tre contenitori che vengano improvvisamente messi in comunicazione tra loro, per la "Legge dei vasi comunicanti", il benessere, la ricchezza e i diritti aumenteranno per le popolazioni più povere e disagiate mentre diminuiranno per le popolazioni che (come la nostra) sono sempre state ai vertici del benessere.
Questo livellamento della ricchezza e del benessere, estremamente sfavorevole per il tenore di vita degli italiani, continuerà fino a quando non si saranno raggiunti valori intermedi, a causa dei quali, anche gli immigrati si rifiuteranno di lavorare per salari eccessivamente bassi, i costi di produzione nei paesi in via di sviluppo saranno cresciuti al punto da non giustificare più la migrazione delle aziende italiane ed i prodotti di importazione non saranno più convenienti di quelli fatti in Italia.
Considerando quanta gente povera e quanti paesi in via di sviluppo esistono al mondo, è facile immaginare che senza drastiche contromisure protezionistiche, almeno nei confronti dei paesi che non fanno parte della Comunità Europea, contromisure che attualmente verrebbero considerate discriminatorie da parte di molte forze politiche e di molti sindacati, i lavoratori italiani dovranno rassegnarsi a perdere ancora un bel po' dei diritti acquisiti e forse dovranno vedersi ridurre anche qualcuno di quelli fondamentali.