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12/02/2007 - CAPIRE GUERRA E PACE




COSA SONO PACE E GUERRA ?

Pace e guerra sono parole che esprimono due concetti opposti tra loro ognuno dei quali non avrebbe significato in assenza dell'altro, come il bene ed il male.
Il significato che viene attribuito a queste definizioni dipende molto spesso dal proprio punto di vista e, attualmente, sempre più frequentemente dalle proprie posizioni politiche.
Purtroppo, la sempre più frequente estremizzazione politica dei due concetti, porta le popolazioni occidentali, incalzate dai Mass Media, ad interpretare la pace come il bene assoluto da preservare ad ogni costo e la guerra come il male estremo da rifiutare in tutte le sue forme.
In tali termini, sembrerebbe che fare la guerra o meno sia solamente una delle tante libere azioni che un popolo o un governo possano attuare: "Chi usa l'esercito, fa la guerra ed è cattivo, chi non ha o non usa mai l'esercito, fa la pace ed è buono", ma questo modo di pensare è assolutamente irrealistico.
Non è corretto ragionare in modo così astratto e semplicistico, senza considerare gli eventi e le decisioni che, nel presente come nel passato, hanno condizionato le scelte dei governi e delle popolazioni che hanno generato eventi bellici, inoltre, non si possono mettere i belligeranti tutti sullo stesso piano, a prescindere dalle motivazioni che li hanno spinti a combattere e dalla ferocia ed accanimento con cui hanno perpetrato i loro propositi militari.
Le grossa ed incolmabile differenza che esiste tra causare la pace e causare la guerra, è che mentre per ottenere la pace è necessaria la volontà e la buona fede di tutte le parti coinvolte nella disputa, per ottenere la guerra basta la volontà e la determinazione anche di una sola delle parti in causa.
Questa è la ragione fondamentale per la quale la pace non si può ottenere un modo unilaterale, anzi, la storia dimostra che la pace più duratura è sempre giunta in conseguenza di guerre, nelle quali le parti coinvolte hanno avuto modo di esaurire il loro potenziale bellico, e che le pacificazioni inique, oppure quelle ottenute senza che i popoli delle nazioni soccombenti abbiano ben percepito la propria sconfitta militare, hanno spesso portato, nel breve termine, a nuove e più feroci guerre.


COME NASCE UN CONFLITTO

I governi delle nazioni, non sono entità astratte, sono composti da individui che decidono ed agiscono sulla base della logica umana e di interessi umani e che, almeno nelle democrazie, si sforzano di fare il bene della popolazione che rappresentano.
La logica che può portare allo scontro di due nazioni è la stessa che porta allo scontro di due individui che iniziano a darsele di santa ragione, solamente che avviene su scala internazionale e, analogamente a due persone che litigando possono coinvolgere amici o estranei, facendone scaturire una rissa, due stati belligeranti possono coinvolgere nazioni alleate o neutrali estendendo il conflitto.
Un conflitto non si può evitare usando il negoziato e la ragionevolezza se anche soltanto una delle parti in causa non vuole intendere ragioni.
Per fare un semplice esempio pratico basti pensare ad un individuo "A" (ovviamente un violento) che per interesse o divertimento voglia far del male ad un altro individuo "B" che, analogamente ad una nazione, non sia nelle condizioni di poter scappare. In tali condizioni "B", soprattutto se più debole o meno determinato di "A", cercherà di dialogare con quest'ultimo, per non rischiare uno scontro che lo vedrebbe svantaggiato, ma "A", ritenendosi più forte e determinato ad ottenere in fretta il suo scopo, sferra un colpo a "B" a preludio di ulteriori violenze. A questo punto "B" ha solo 2 opzioni: o lasciarsi sopraffare da "A", accettando tutte le conseguenze che la decisione comporta (finire in ospedale o al cimitero), oppure iniziare a difendersi colpendo "A" a sua volta: "E' scoppiata la guerra", solo uno la voleva, ma alla fine anche chi era contrario ha dovuto combatterla.
Oppure, per fare un altro esempio, con gli stessi presupposti, si pensi che l'individuo "B", ben consapevole della pericolosità di "A" , sapendo che avrebbe poche speranze lasciandogli anche l'iniziativa, cerchi, suo malgrado, di colpirlo per primo, per ridurne il presunto vantaggio. Anche in questo caso: "E' scoppiata la guerra" e proprio colui che non avrebbe voluto combattere, spinto dalla paura, ha addirittura usato la violenza per primo.
La conclusione delle ostilità potrà avvenire solo se uno dei due prevale sull'altro, oppure nessuno riesce a prevalere, ma comunque "A" avendo appurato che "B" non era debole come immaginava, preferisce non insistere nei suoi propositi bellicosi e si persuade ad accettare un serio negoziato.
In ambito internazionale pur con scala e motivazioni diverse, la logica dello scontro e della guerra è sempre la stessa, dove oggi: l'individuo "A" è sempre rappresentato da nazioni illiberali, o da popolazioni fanatiche o bellicose che, in virtù della abitudine alla violenza ed alla sopraffazione del loro modello di società e della loro storia, spesso esaltate della loro religione, pretendono di imporre il loro volere alla comunità internazionale con le vie di fatto, oppure cercano di dotarsi di armi di distruzione di massa che, allarmando le nazioni confinanti, creano i presupposti per gravi crisi internazionali.


PERCHE' IMPEDIRE CHE ALCUNE NAZIONI SI DOTINO DI ARMI NUCLEARI

Certamente a qualcuno verrebbe spontaneo chiedersi: "Per quale motivo le nazioni occidentali e democratiche, come USA, Inghilterra e Francia, dovrebbero potersi dotare di armamenti nucleari, mentre altre, come IRAN e Corea del Nord, solo perché non sono veramente democratiche, non dovrebbero averne diritto?".
In fin dei conti, ogni stato dovrebbe avere il diritto di organizzare la propria difesa come meglio crede.
La risposta è molto semplice:
Nei governi democratici, le decisioni critiche vengono prima discusse in sedi governative dove ogni componente può esprimere il proprio giudizio liberamente, senza temere ritorsioni, quindi la decisione finale è sempre espressione di una maggioranza che, su provvedimenti seri come guerra e l'uso di armi di distruzione di massa, difficilmente darebbe l'approvazione, in assenza di una realistica e concreta minaccia alla sopravvivenza nazionale.
Invece, come già si è verificato numerose volte nel corso della storia, nei governi dittatoriali e nelle false democrazie, le decisioni critiche vengono prese da uno o da pochissimi individui, quindi la probabilità ed il rischio che arsenali nucleari vengano impiegati, non per reali ed estreme necessità difensive, ma piuttosto per soddisfare sogni di onnipotenza oppure mire espansionistiche dell'Imperatore o del Saladino di turno, crescono in modo esponenziale, mettendo in pericolo l'esistenza di intere nazioni e l'eco sistema planetario.


L'EFFICACIA DEI NEGOZIATI

I negoziati possono scongiurare l'insorgenza dei conflitti solo se tutti i partecipanti soddisfano i seguenti requisiti:
1) Devono dimostrare di essere in buona fede
2) Devono essere ben consapevoli dei loro punti di forza e di debolezza.
3) Devono essere reciprocamente disposti a cedere qualcosa in cambio di quello che chiedono
4) Devono avere una visione obiettiva del valore di quello che offrono e di quello che chiedono in cambio.

L'inadempienza di uno o più, dei punti menzionati, comporta inevitabilmente il fallimento del negoziato e la prosecuzione, o l'avvio, di un conflitto.
E' storicamente dimostrato che tutti i negoziati che sono stati mantenuti aperti, contro ogni logica, nel cieco ottimismo di chi avrebbe voluto evitare la guerra, dopo che la mancanza dei requisiti accennati (soprattutto del primo) era stata ampiamente dimostrata, hanno determinato la nascita dei più gravi e cruenti conflitti che si siano mai verificati.

Per fare un paio di esempi della storia moderna:
1) La Germania, nel corso degli anni di negoziati con le democrazie occidentali precedenti allo scoppio della II° Guerra Mondiale, ebbe più volte a confermare a parole la sua contrarietà alla guerra, ma contemporaneamente si riarmava in barba al trattato di Versailles, ed infine, sperimentando nuove e micidiali strategie di impiego del proprio apparato bellico, si annetteva una dopo l'altra, Austria, Cecoslovacchia e Polonia, scatenando la più grande guerra sul fronte occidentale che la storia ricordi.
2) Il Giappone, sul fronte Orientale, a sua volta, nel corso di anni di trattative tese a difendere il possesso dei territori occupati militarmente in Cina e nel Sud-Est-asiatico, dagli Stati Uniti che minacciavano pesanti ritorsioni, ebbe tutto il tempo di allestire una flotta di portaerei, la più potente che avesse mai solcato i mari fino ad allora, e di usarla proprio contro la flotta USA basata a Pearl Harbour, senza nemmeno la dichiarazione di guerra.
I fatti dimostrano in modo innegabile che tutte le forze non interventiste e pacifiste, che in quegli anni, si attivarono in Inghilterra, Francia e USA, per procrastinare i negoziati e cercare una soluzione pacifica, hanno solo avuto l'effetto di ritardare una guerra inevitabile, con la conseguenza di renderla molto più estesa e costosa, in termini di vite umane, di quella che sarebbe stata necessaria per ridimensionare le pretese delle dittature, ai primi ed inequivocabili segnali di malafede. L'intervento militare delle Democrazie Occidentali, ormai troppo tardivo, aveva consentito alle dittature di rafforzarsi oltre ogni pessimistica previsione.

A differenza di chi è in buona fede, chi si trova in malafede usa il negoziato come mezzo, non per cercare di scongiurare la guerra, ma per ottenere più tempo per armarsi e prepararsi a farla, nonché per sondare l'effettiva propensione degli avversari ad affrontare un conflitto armato, confidando sempre nella paura altrui.

Appare evidente che in questi termini il negoziato rappresenta solo un'aggravante all'inevitabile futuro conflitto e non una soluzione.
Per questa ragione, contrariamente a quanti pensano che in un negoziato non debba mai esistere un'ultima parola, per evitare di ripetere gli errori del passato, un limite deve sempre essere posto e deve essere basato sulla logica razionale dei fatti, piuttosto che sulle ottimistiche dichiarazioni di intenti.
La logica basata sulla salvaguardia dei diritti e sul valore della vita umana, che è ampiamente condivisa dai popoli e dai governi delle nazioni Occidentali, è giusta e condivisibile solo nell'ambito della propria società, e nei rapporti diplomatici con le nazioni che si sono avviate sulla stessa strada di progresso civile.
Quando invece si devono appianare contrasti con governi di nazioni civilmente arretrate, fanatiche dal punto di vista religioso, abituate da secoli ad esercitare e subire la violenza, il cui valore per la vita umana è sempre stato sminuito dalla continua lotta per la conquista del potere, o sacrificato dalla presunta volontà del proprio Dio, la logica deve essere modificata in modo da adattarsi, se necessario, ad accettare livelli di violenza, sia verbale che fisica, che consentano di raggiungere l'obiettivo prefissato nel più breve tempo possibile, anche sacrificando temporaneamente quei principi fondamentali che normalmente vengono osservati nel quotidiano vivere civile.
Naturalmente, non significa che non si debba tentare di appianare le dispute iniziando con il dialogo e la ragionevolezza, ma che dopo averci provato, di fronte alla ottusa indisponibilità, è necessario passare alle vie di fatto senza troppi indugi.
Questo si rende necessario tutte le volte che il confronto avviene con chi non vuole intendere ragioni e cerchi ogni pretesto per giustificare la propria violenza, o il proprio atteggiamento minaccioso, perché mentre la ragione ed il dialogo non possono piegare la forza di chi non li vuole accettare, la forza può sempre piegare la ragione di chi non può o non vuole competere: "Contro la forza la ragione non vale".

L'EFFICACIA DELLE OPERAZIONI MILITARI

Una azione militare può essere efficace solo se basata sui seguenti presupposti:
1) Le forze schierate sul campo (uomini, mezzi e tecnologia) sono nettamente superiori a quelle del nemico o, nel caso di una operazione di interposizione, delle forze militari schierate in campo dagli altri belligeranti.
2) Gli obiettivi strategici sono chiari ed inequivocabili.
3) La tattica e le regole di ingaggio, se necessarie, sono stabilite e modificabili direttamente dai comandanti in campo, in funzione della situazione tattica.
4) Eventuali danni collaterali, a civili, insediamenti e strutture, presenti nelle zone di operazione, non devono poter pregiudicare o interrompere le operazioni militari.

Una azione militare, non può e non deve essere diretta, o giudicata, con la logica della giustizia del tempo di pace, perché chi non è toccato dalla guerra continua a vivere tranquillamente nel rispetto della vita e dei diritti civili della società di appartenenza, mentre, chi si trova sul campo di battaglia in territorio ostile, vive con l'obiettivo di eliminare il nemico e controllare il territorio, trovandosi continuamente in pericolo di morte fino a quando non raggiunge lo scopo.
Pertanto è assurdo pensare che un militare, che abbia il compito di uccidere eventuali nemici per vincere una guerra, o eliminare una minaccia, e che si trovi in una situazione di costante pericolo, abbia rispetto per la vita umana in ugual misura di come potrebbe averne un impiegato che si alza al mattino per portare a scuola i propri figli, il cui massimo rischio sia rappresentato da un improbabile incidente stradale.
Semmai, in virtù della propria umanità, potrà astenersi dal compiere inutili violenze o barbarie e cercare di evitare di colpire innocenti, ma nel momento in cui, se venisse attaccato, dovesse esitare a rispondere al fuoco per paura di colpire eventuali civili che si trovassero nelle vicinanze, perderebbe la vita e fallirebbe la missione.
In combattimento, a parità di tutte le altre condizioni, l'ago della bilancia pende sempre a favore di chi ha regole di ingaggio meno restrittive, unità militari senza uniforme, mescolate alla popolazione civile, che aprono il fuoco contro un nemico che ha ordine di non sparare contro i civili, è in grado di infliggere gravi perdite senza rischiare nulla, praticamente un vero atto di vigliaccheria.
Per questo motivo fino alla Seconda Guerra Mondiale, tutte le unità combattenti catturate, che non indossavano una uniforme, erano immeritevoli di rispetto, non erano protette dalla "Convenzione di Ginevra" relativa ai prigionieri di guerra, venivano considerate spie e messe a morte senza alcun processo.
Attualmente, invece, in tutte le missioni armate di interposizione e di mantenimento della pace, i combattenti senza divisa, vengono erroneamente messi sullo stesso piano dei quelli che la indossano, quel codice quasi cavalleresco di rispetto per il nemico viene applicato solo unilateralmente, perché terroristi e rivoluzionari non lo hanno mai adottato.
La strategia Occidentale di fare la guerra 'Ma non troppo', nelle le cosiddette "Missioni di pace", così chiamate per non turbare troppo la coscienza dell'opinione pubblica, ha prodotto, dal termine della guerra fredda fino ad oggi, una moltitudine di interventi militari, la grande maggioranza dei quali non sono riusciti a risolvere nulla, i cui pochi effetti benefici possono essere mantenuti solo con la continua presenza militare nelle zone calde, ma che, nel tempo, sono costati e costano, in termini economici ed umanitari, quasi come una vera guerra.
Questa incapacità però, non è dovuta al fatto che con la forza militare non si ottiene nulla, come vorrebbero far credere gli attuali movimenti pacifisti, né alla preparazione professionale dei militari assegnati alle missioni, bensì all'assurda pretesa di politici incompetenti in materia militare, di voler stabilire a tavolino, non solamente gli obiettivi da raggiungere, come sarebbe appropriato fare, ma anche la strategia e la tattica che le forze armate da loro incaricate devono adottare sul campo.
Per fare un esempio che evidenzi tale assurdità, si immagini una persona che non avendo studiato medicina, chiami un medico per guarire un parente ammalato, pretendendo però, di indicargli anche come eseguire la diagnosi e, cosa ancora peggiore, quali medicine debba somministrargli per guarirlo.

L'ARMA DEI MASS-MEDIA

Qualcuno scrisse la famosa frase: "Ne uccide più la penna che la spada", il riferimento iniziale era alla politica ed ai trattati, oggi bisognerebbe cambiarla in: "Ne uccide più la falsa informazione che la guerra".
In Occidente, la più grande minaccia alle nazioni che lo compongono, non arriva più dalla potenza militare di eserciti stranieri, ma dalla cattiva informazione propinata ad una popolazione sempre più ignorante dal punto di vista storico e sempre più proiettata a pensare più al bene del nemico che al proprio.
Paradossalmente, l'opinione pubblica occidentale, ma soprattutto quella italiana, grazie al lavoro di giornalisti senza scrupoli che si proclamano portatori di verità (non tanto per amor di verità ma più che altro per amor di soldi, fama o fede politica), è stata resa quasi più sensibile alla morte dei civili stranieri che a quella dei propri soldati. L'immagine di un bimbo morto o mutilato, fa dimenticare che nel caos dei territori interessati dalle missioni militari Occidentali, proprio quei bambini, eventualmente uccisi, comunque non intenzionalmente, insieme a tanti altri che invece sopravvivono, sarebbero destinati a diventare, da adulti, nemici giurati dell'Occidente, in assenza di un rapido cambiamento che solo un'azione di forza può produrre.
Questo fatto abilmente sfruttato dal nemico, terroristi o governi di nazioni ostili, fa sì che addirittura siano proprio questi ultimi ad organizzare per i giornalisti Occidentali, interviste a presunte vittime della presunta "Oppressione dei militari Occidentali", in modo che l'opinione pubblica dei paesi democratici faccia pressione sui propri governi, per ridurre sempre di più l'autonomia e l'operatività delle loro forze armate, compromettendone irrimediabilmente l'efficacia operativa e, di conseguenza, la missione.
Infatti, pur disponendo di mezzi e tecnologia all'avanguardia, le truppe assegnate alle missioni in territorio straniero, possono facilmente essere colpite e messe in scacco da pochi terroristi senza scrupoli, grazie alle restrittive 'Regole di ingaggio che vengono stabilite dai politici preoccupati per la loro poltrona, invece che dai militari che devono raggiungere l'obiettivo assegnato.
A peggiorare la situazione interviene Internet, che fin dall'anno 2000 permette a terroristi e nemici dell'Occidente di pubblicare proclami e false informazioni, facendo presa sui movimenti giovanili, che da sempre si sentono investiti del compito di migliorare il mondo e che, per spirito di contestazione, sono più propensi a credere agli estranei invece che al governo del proprio paese.

COSA SIGNIFICA ESSERE PACIFISTI

La completa pacificazione internazionale, non si potrà mai verificare fino a quando in qualche parte del mondo continueranno ad esistere governi illiberali, per questa ragione, anche le Nazioni Occidentali, che sono le più democratiche e pacifiche, non possono escludere a priori l'opzione militare per la propria difesa e per salvaguardia dei propri interessi in ambito internazionale.
Essere pacifisti significa rifiutare l'uso della forza quale mezzo di prevaricazione, inoltre, significa prediligere il negoziato quale mezzo di risoluzione delle controversie, sia tra persone che tra nazioni.
Essere pacifisti però non vuol dire accettare l'imposizione di un peggioramento del proprio stile vita, né rinunciare al diritto di difendersi dalle minacce reali, né di lasciarsi aggredire senza reagire, solo le persone votate al martirio (che sono veramente poche), sarebbero disposte ad accettare simili condizioni.
Purtroppo, essere i primi a rinunciare di ricorrere alle armi, in un mondo sempre più sovrappopolato e sempre più in competizione per la sopravvivenza, nel quale proprio le nazioni che rifiutano i nostri valori civili e democratici, sono sempre in corsa per il riarmo, sarebbe non solo azzardato ma estremamente stupido.
Il pacifismo unilaterale è pura utopia, inoltre slogan come: "No alla guerra senza se e senza ma" Inducono a pensare che non esista nulla per cui valga la pena di combattere, quindi nemmeno per valori come libertà, giustizia e il diritto di esistere.
Se accettassimo questo principio, dovremmo ammettere che, anche a livello individuale e personale, un uomo non debba più avere il diritto di difendersi dalle aggressioni, né di lottare per difendere i propri diritti ed i propri interessi.
Il 95% di tutti i presunti pacifisti che manifestano le loro contrarietà alla guerra, a livello personale, trovandosi nelle condizioni dell'individuo "B" del menzionato esempio, sceglierebbero l'opzione di difendersi, forse anche di attaccare per primi, ed accetterebbero di combattere, soprattutto se, non potendo prevedere fino a quale livello di violenza sarebbe disposto a giungere "A", rinunciare a difendersi potrebbe significare dover subire una violenza sessuale o addirittura la morte.
Tuttavia, queste persone, condizionate da ideologie politiche o dal buonismo cattolico, tanto di moda in questi ultimi anni, sono assolutamente incapaci di percepire, come indirizzata verso se stessi, una minaccia internazionale che grava sulla propria nazione. Come se tutti gli avvenimenti internazionali, diversi dai conflitti, ma che, comunque, possono influenzare o decidere il destino della società di cui fanno parte, non potessero compromettere irrimediabilmente anche il loro personale modo di vivere.
La contraddizione del neo-pacifismo si evidenzia nella accettazione della lotta per la difesa dei propri diritti personali o di categoria (che corrispondono al proprio interesse), ma nella negazione del diritto del governo del proprio stato, di fare lo stesso in ambito internazionale, pretendendo addirittura che si difendano gli interessi di altri popoli, spesso addirittura ostili.


FARE LA GUERRA è GIUSTO O SBAGLIATO ?

Quello che è giusto non è tanto fare o non fare la guerra, perché, come abbiamo visto, ci sono anche situazioni che non lasciano scelta, la vera discriminante è rappresentata dai motivi per i quali la guerra viene o non viene fatta, ed il modo con il quale viene combattuta.
Se la guerra serve per espandere il dominio di un impero a danno di nazioni pacifiche o per costringere altri paesi ad accettare un livello di sudditanza che limiterebbe la libertà dei suoi cittadini, il motivo è sicuramente sbagliato e inaccettabile, se invece viene fatta per difendersi da un'invasione, per impedire che un dittatore possa armarsi al punto di minacciare l'esistenza di altre popolazioni, o per bloccare insostenibili flussi immigratori irregolari, destinati a gettare nel caos l'ordine sociale della propria nazione, il motivo è giusto e vale la pena di combattere per questo.